PARTE QUARTA
ESPANSIONE E INCULTURAZIONE
SEZIONE PRIMA
II
DOTTRINA MISTICA DI BENEDETTO DA CANFIELD
a cura di
OPTATUS VAN ASSELDONK
1
I FRATI CAPPUCCINI. Documenti e Testimonianze del Primo Secolo. A cura di COSTANZO CARGNONI. Roma 1982, IV, 178-210.
Table of Contents
- 1. La dottrina dell’annichilazione («anéantissement»)
- 2. Maternità spirituale di Cristo in Maria
- 3. La volontà di Dio è «spirito e vita»
- 4. Unità sponsale con Dio in Cristo con Maria
- 5. La contemplazione più perfetta
- 6. La Passione di Cristo contemplata nel proprio interno
- 7. La divina sapienza della croce sulla vetta della pura sofferenza
- 8. L’annichilazione attiva nella semplice visione passiva del Tutto incarnato e crocifisso
- 9. Contemplazione delle nostre sofferenze come quelle dello stesso Cristo Crocifisso
Tra gli autori cappuccini, Benedetto da Canfield è lo scrittore «mistico» più letto, studiato e stimato, particolarmente in questi ultimi cinquant’anni, e in modo speciale fuori dell’Ordine nostro. Il problema cruciale fu il suo cristocentrismo contestato, sulla base di una supposta interpolazione relativa alla dottrina sulla Passione di Cristo, inserita nella terza parte della sua Regola di perfezione. Questa parte, chiamata, a partire dal 1590, Esercizio della Volontà di Dio, sarebbe stata assente nel testo originale. Questa opinione, proposta da J. Orcibal e sostenuta ultimamente nella edizione critica della Regola di perfezione, Parigi 1982, è seguita da quasi tutti gli studiosi fino ad oggi. L’autore però accetta che la redazione ultima della Regola non è contraria al pensiero originale di Benedetto da Canfield nell’Esercizio. Ultimamente P. Mommaers ha provato in modo esplicito e convincente la presenza del cristocentrismo fondamentale già nella prima redazione originale, cioè nell’Esercizio. E così arriva alla conclusione già da me proposta nei miei studi con altri argomenti. Tuttavia l’ipotesi di una interpolazione della parte che riguarda la Passione, aggiunta in un secondo tempo, fino ad oggi, a mio giudizio, non è mai stata provata in modo chiaro e sicuro, anche se non è da respingere a priori. Il libro di Canfield, Exercice de la Volonté de Dieu, o la Règle de Perfection, nato intorno al 1590 e pubblicato definitivamente nel 1610, in modo completo, in lingua francese e latina a Parigi e a Colonia, ha avuto una cinquantina di edizioni in diverse lingue. L’autore lo ha redatto inizialmente anche in lingua inglese, almeno per le due prime parti. L’edizione di Orcibal, senza dubbio magistrale, permette al lettore moderno di seguire pit da vicino l’iter redazionale, dall’inizio dell’Exercice fino alla Règle de Perfection del 1610.
Tra gli aspetti fondamentali della Regola di perfezione, sono da notare:
1) L’esercizio della sola volontà di Dio è la regola di perfezione, la pratica migliore per arrivare all’amore puro, all’unità di spirito, di volontà e di cuore con Dio, con il suo beneplacito. Si tratta sempre di un unico mezzo, cioè della pura intenzione, praticata nella vita attiva, contemplativa e unitiva, quest’ultima da Canfield detta suréminente, non cercando altro che Dio solo, la sua volontà, amore, gloria, spirito e vita, per mezzo dell’operazione del suo Spirito vivificante.
2) Questo motivo della volontà di Dio solo deve ispirare la preghiera, la sofferenza, l’attività, lo studio, l’apostolato, insomma tutta la vita, in modo che ogni amor proprio o egoistico, ogni volontà propria, ogni spirito della carne venga mortificato e «annientato». E così pian piano Dio diventa sempre più spirito e vita per noi, il nostro Tutto nel nostro niente, Vita nostra nella nostra morte. Canfield chiama spesso questa Volontà di Dio: Dio stesso, la sua essenza, il suo Essere, il suo Spirito e Vita, la sua Persona, presenza, Sposo dell’anima.
3) Il Cristo crocifisso, Dio-Uomo, dunque, come Figlio del Padre e Sposo dell’anima, tiene il posto centrale, non soltanto nella vita attiva e contemplativa, le due prime parti del suo libro, ma anche nella vita suréminente o mistica in senso pieno e supremo. Infatti facendo sempre la Volontà di Dio-Padre — il «fiat voluntas tua» del Cristo nell’orto è il motto del libro — l’anima si unisce, particolarmente nella sua Passione e morte salvifica, al Cristo crocifisso, come Dio-Uomo, cioè considerato sempre nell’unità della sua Persona divina. E così l’unione al Cristo, Dio-Uomo, significa l’unione con Dio stesso, anche al vertice dell’unione mistica, senza bisogno di lasciare Cristo per la sola divinità, come altri volevano. Canfield ha potuto trovare questa dottrina in Francesco d’ Assisi stesso, in san Bonaventura, nella beata Angela da Foligno, in Ubertino da Casale, in santa Teresa d’Avila e altrove. Egli difende questo cristocentrismo totale e universale come la dottrina più perfetta, trovandola nello stesso san Paolo e in san Francesco.
Canfield si rende ben conto della difficoltà enorme di questa mistica cristocentrica, vissuta nel Dio-Uomo crocifisso, in quanto la sua umanità esige l’uso di immagini, mentre la sua divinità ne chiede l’annientamento. Il problema viene risolto dal cosiddetto «annientamento attivo», per mezzo del quale Dio stesso o il suo Spirito vivificante, nella fede e amore puro, annienta nel fondo dello spirito ogni immagine «umana». È una soluzione certamente difficile, ma molti altri mistici, anche tra i piú classici come Ruusbroec e Giovanni della Croce, non ne offrono una diversa o migliore.
4) In questo cristocentrismo non manca Maria, che trova il suo posto, come Madre «spirituale» del Cristo, anche in noi. La sua e la nostra maternità vengono bene espresse. Questa dottrina «mariana» egli l’ha potuto trovare in Francesco e Chiara d’Assisi.
5) Infine, Benedetto da Canfield tira le ultime conseguenza di questo cristocentrismo affermando che le nostre personali sofferenze, portate come quelle di Cristo, incarnano e umanizzano il mistero del Dio-Uomo nella nostra vita umana «crocifissa», divinizzando così lo stato più umile e mortificato dell’uomo. Lo stesso mistero «cristianizzante» si realizza in quanto l’operazione dello Spirito Santo nell’annientamento attivo «spiritualizza» — la parola è di Canfield — anche la nostra vita quotidiana, fuori della preghiera, cioè il nostro lavoro, studio, predicazione, facendola vivere o praticare come «spirito e vita», come la sola volontà di Dio, come il suo puro amore, in unità di spirito e di cuore con Dio stesso. In tal modo tutta la nostra vita, ispirata dalla sola Volontà di Dio, diventa una vera vita «contemplativa», anche nell’azione ordinaria di ogni giorno.
In questa vita «mista» di preghiera e di azione, ambedue ugualmente ispirate dall’unica Volontà di Dio o dal suo amore puro, Canfield e i suoi seguaci cappuccini francesi e belgi trovano il vertice della perfezione e anche della stessa vita «mistica». Mommaers l’ha ben rilevato nella dottrina di Canfield: l’autore trova e sperimenta Dio piuttosto nel cuore della realtà umana, unita a quella di Cristo, Dio-Uomo crocifisso che continua a incarnarsi, cristificando le sue membra, particolarmente nei loro «stati di vita» più ordinari e umili, cioè nella sofferenza quotidiana.
L’importanza speciale di questo autore per la spiritualità cappuccina in Francia e Belgio — ma anche altrove — giustifica questa lunga spiegazione della sua dottrina mistica.
Fonte: I testi scelti sono ricavati dalle seguenti opere di Benoît de Canfield: Exercice de la Volonté de Dieu (circa 1590), Règle de Perfection (1610) secondo l’edizione critica di J. Orcibal, Benoît de Canfield. La Régle de Perfection. The Rule of Perfection. Edition critique publiée et annotée, Paris 1982 (le pp. verranno indicate all’inizio dei singoli brani). — Circa questo autore la bibliografia è assai vasta. Proponiamo alcuni titoli fondamentali: J. Orcibal, Benoît de Canfield cit., 15-39 (Introduction); E. Gullick, The Life of Father Benet of Canfield, in CF 42 (1972) 39-67; id., Benet of Canfield: the Active and Contemplative Life, in Laurent. 13 (1972) 401-436; id., The Supereminent Life and the Passion in the Doctrine of Benet of Canfield, ibid. 15 (1974) 288-348; P. Mommaers, Beroît de Canfield: sa terminologie «essentielle», ses sources flamandes, in Rev. Asc. Myst. (dal 1972: Revue d’Histoire de la Spiritualité) 47 (1971) 421-454; 48 (1972) 37-68, 401-434; 49 (1973) 37-66; id., Benedictus van Canfield. Qver de navolging van Jezus in de mystieke beleving, Bonheiden 1980 (edizione olandese e commentario della parte della Règle sulla Passione); id., La Régle de Perfection de Benoît de Canfield, in Ons Geestelijk Erf 58 (1984) 247-275; K. Porteman, De mystieke Lyriek van Lucas van Mechelen, Gent 1977-1978 (ambiente spirituale intorno al 1660 in Francia e Belgio); id., Nederlandse Mystici uit de 17e eeuw of de mystici van «den niet», in Ons Geestelijk Erf 47 (1973) 387407; id., Dwers door eenen duysteren nacht, in Kon. Academie voor Nederl. Taal en Letterkunde (1973) 104-186; Optat de Veghel, Benoît de Canfield (1562-1610). Sa vie, sa doctrine et son influence, Rome 1949; id., La spiritualité franciscaine du 16e au 18e siècle, in Laurent. 21 (1980) 94-109 (ambiente europeo); id., Le Christ crucifté, Dieu-Homme, dans la doctrine de Benoît de Canfield. Son christocentrisme contesté, ibid. 24 (1983) 328-430 (risposta critica a Orcibal); id., L’identité spirituelle de la Réforme, in La Réforme capucine (1525-1625). Un siècle de Renaissance franciscaine cit., 25-40; id., L’identité spirituelle des Capucins en France, ibid., 65-82 (sintesi); importante poi è lo studio di Kent Emery, Renaissance Dialectis and Renaissance Piety: Benet of Canfield’s Rule of Perfection. A Translation and Study (Medieval and Renaissance Texts and Studies, 50). Binghamton, New York 1987 (l’a. in una lunga introduzione spiega la storia del testo e il contenuto, confermando la fondamentale continuità, fin dall’inizio, della dottrina cristocentrica, benché ammetta un inserimento tardivo dei cinque capitoli della terza parte. Pur non conoscendo i miei ultimi studi, egli giunge significativamente alle stesse mie conclusioni); importanti sono anche gli studi e l’edizione di Werner-Egen GroB, Benedikt von Canfield. Regel der Vollkommenheit. Ubersetzt und erliutert von Werner-Egen GroB, Werl/Westf., Dietrich-Coelde-Verlag, 1989.
1. La dottrina dell’annichilazione («anéantissement»)
La dottrina dell’annichilazione qui esposta vale per tutta la vita spirituale, cioè anche per la terza parte della Regola di Perfezione. In essa sono distinte le due forme, dell’«intraction» nell’amore fruitivo, e dell’«extraction» nell’amore pratico. L’uomo, nella luce dello Spirito Santo, in questa annichilazione constata di essere niente e che senza Cristo non può fare nulla.
Fonte: Benoît de Canfield, Exercice de la volonté de Dieu, cap. II; edizione critica di J. Orcibal, Benoît de Canfield cit., 49s; testo e commento anche in Optat van Asseldonk, Le Christ crucifié cit., 346-348.
9199 […] Inoltre la perfezione della totale annichilazione di sé appare chiaramente in questo cammino. Infatti l’uomo, per la viva ed efficace operazione della volontà divina, è ridotto a nulla sia nel suo uomo vecchio, sia in quello nuovo.[1] Quanto al primo, tutto si svolge in maniera tale che esso scompare. L’uomo nuovo invece talmente è libero da ogni necessità che non opera più da se stesso, ma da Dio, per Dio, in Dio e con Dio. Non fa nulla in modo attivo, ma è passivo, ossia è piuttosto paziente che agente, più ascoltatore che parlatore, ed è più facilmente fatto che non ciò che egli fa e questo avviene principalmente nell’intratto[2] e nell’amore fruitivo.
[…] En après la perfection de la totalle anichillation de soi-mesme se voit clairement en ce chemin. Car par la vive et efficace operation de la vollonté divine l’’homme est reduict à néant quand au viel homme et quand au nouveau. Quand au premier tout à faict de sorte qu’il n’est plus, et quand au nouveau en telle maniere qu’il ne besongne plus et ne faict aulcune oeuvre de luy, mais par Dieu, pour Dieu, en Dieu et avec Dieu. Il ne faict rien activé, mais passivé, c’est è dire qu’il est plustost le patiant que l’agent, plustost l’auditeur que le parleur, et est plustost faict que ce qu’il face et ce principallement en l’intraction et amour fruitif.
Non che io voglia dare a intendere che le potenze dell’anima restino menomate e che non facciano niente del tutto. Al contrario, esse agiscono e operano in modo più perfetto, producendo atti sublimi, meravigliosi e regolati. Tale sublime e perfetta operazione è così lontana dal sentimento e dal movimento sensibile che sembra che l’anima rimanga in una certa oziosità e riposo senza fare niente e quasi non se ne accorge.
Non que je vueille donner à entendre que les puissances de l’âme soient offencées et que du tout elles ne facent rien. Au contraire qu’elles agissent et opérent plus parfaictement que jamais, produisans des actes sublimes, merveilleux et coutumiers. Mais pource que telle sublime et parfaicte opération est si esloignée du sentiment et mouvement sensible, qu’il semble que l’âme demeure en une certaine oysiveté et repos sans rien faire et ne s’en apperçoit presque poinct.
9200 Ciò avviene per quattro motivi: primo, per la dissuetudine e rarità di questa operazione, dal momento che l’anima è solita operare sensibilmente, mentre qui agisce spiritualmente.
Ce qui advient pour quatre raisons: [f. 5r] premièrement par l’inacoustumance et rareté de telle oppération, estant l’âme acoustumée d’opérer sensiblement et ycy il se faict spirituellement.
Secondo, per la rarità e contrarietà di questa operazione che proviene da due principi fortemente contrapposti, di cui uno è la volontà propria, che è impetuosa, turbolenta e penosa, e l’altro è Dio, che è dolce, pacifico e graziosissimo.
Secondement c’est pour la rareté et contrarieté de ceste oppération qui proceddent de deux principes fort contraires, dont l’ung est de la volonté propre, laquelle est impetueuse, turbulente et penible, où l’autre qui est celle de Dieu est doulce, paisible et fort gracieuse.
Terzo, per la viva ed efficace operazione e per l’inazione o moto dello Spirito di Dio nell’anima, nel cui centro essa dimora così sospesa e alienata da sé stessa che, come priva di tutte le sue forze, patisce solamente la forza e la violenza di tale inazione e operazione senza far nulla attualmente da se stessa e cosi resta paziente e non agente ed è piuttosto fatta che essa non faccia.
Tiercement pour la vive et efficace oppération et pour l’inaction ou mouvement de l’esprit de Dieu en l’âme, au moien de quoy elle demeure tellement suspendue et allienée d’elle mesme, que comme privée de touttes ses forces, elle souffre seullement la force et viollence de telle inaction et oppération sans rien faire actuellement d’elle mesme et ainsy elle demeure la patiente et non pas l’agente et est plustost faicte qu’elle ne faict.
9201 In quarto luogo questa operazione che si fa nella volontà di Dio sembra essere annientata, perché allora si è trasportati in Dio da un così grande e fervente amore e talmente inabissati, assorti e immersi nel mare immenso della sua divinità che, da qualunque parte la si guardi, non si scorge altro che Dio e non si può pensare nulla, nulla immaginare, né apprendere o capire che Lui solo.
En quatriesme lieu ceste opération qui se faict en la volonté de Dieu semble estre anéantie car l’on est lors si transporté en Dieu par grand et si fervent amour et tant abismé absorbé et englouty en la mer immense de sa divinité, que, de quelque costé qu’on regarde, on ne voit rien que Dieu, et ne peult on rien penser, imaginer, appréhender ou comprendre que luy seul.
In questo abisso e assorbimento l’anima si perde e si annichila totalmente e non può allora produrre nessun atto particolare, né altra operazione attiva, ma come oziosa in se stessa, rimane pronta e disposta a soffrire gli amplessi divini. E se qualche volta questo uomo nuovo opera nell’estratto[3] o amor pratico, non lascia per ciò stesso di essere annichilato, perché vede nella luce dello Spirito Santo, con conoscenza propria, di essere niente e che non è lui[4] che opera, ma Gesù Cristo che vive in lui e che ha detto che senza di lui non si può far nulla.[5]
Auquel abisme et engloutissement l’âme se pert et anéantist totallement en ne peult alors produire aulcun acte particullier, ou aultre oeuvre actif, mais comme oiseuse en elle mesme demeure preste et apareillés pour souffrir les embrassements divins, et si quelque foiz ce nouvel homme faict quelque chose en l’extraction ou amour pratiqué, il ne laisse pas pour cela d’estre anichillé, car par la lumière du Saint-Esprit il voit par congnoissance propre qu’il n’est rien et que ce n’est pas luy qui opère, ains JESUS CHRIST qui vit en luy et qui a dict que sans luy on ne pouvoit rien faire.
In tal modo l’anima giustamente può ripetere col Salmista: Io diventavo un nulla, e non capivo niente.[6]
De sorte qu’à bon droicy l’âme peult dire avecg’ le Psalmiste: Je suis esté reduict à rien et ne l’ay poinct sceu.
2. Maternità spirituale di Cristo in Maria
Nella seconda parte dell’Exercice de la Volonté de Dieu Canfield tratta della vita contemplativa definita anche «volontà interiore» che si manifesta in cinque gradi: manifestazione, ammirazione, umiliazione, esultazione ed elevazione. Nel terzo grado dell’umiliazione, in un dialogo amoroso dell’anima con Cristo suo Sposo, egli accenna alla maternità spirituale di Cristo in Maria, un tema familiare sia a Francesco che a Chiara d’Assisi.
Fonte: Benoît de Canfield, Exercice de la Volonté de Dieu, cap. IV; ediz. critica di J. Orcibal, Benoît de Canfield cit., 73; testo e commento in Optatus van Asseldonk, Le Christ crucifié cit., 354-356.
9202 «[…] Lasciami fare di te la mia volontà, lasciami operare familiarmente in te come sposo. Lasciami maneggiare insieme con te poiché, secondo le parole che io ti ho detto, Io ti fidanzerò con me nella fedeltà».[7]
«[…] Laisse moi faire ma volonté de toy, laisse moy oppérer comme espoux familliè&rement en toy. Laisse Moy mesnaiger ensemble acecq toy car, selon la parolle que je t’ay dicte: Je t’espouzeré en foy».
Allora avendo compreso questo mistero e come tutta liquefatta dalla dolcezza del suo amato e infiammata dalla sua parola, risponde in spirito con la Vergine benedetta e dice con essa: Ecco, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto.[8] E con questo consentimento e obbedienza alla volontà divina, essa è subito unita a questa volontà, la riceve nella sua anima e così diventa madre di Gesù Cristo, come egli stesso l’ha detto: Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre”.[9]
Alors ayant entendu ce mistère et comme toutte liquifiée de la doulceur de son bien aymé et enflammée de sa parolle, elle respond en esprit [f. 23v] avec la Vierge bienheureuse et dict avecq elle: Voilà l’encelle du Seigneur, me soit faict selon sa parolle. Et par ung tel consentement et obeissance à la divine volonté elle est incontinant unie acecq elle, la regoit en son âme et ainsy est faicte la mère de IHESUS CHRIST, comme luy mesme l’a dict (Math. 12): Quiconque ferà la volonté de mon père qui est au ciel, celuy est mon frère, ma soeur et ma mère.
Avendolo così spiritualmente concepito ed essendone incinta, lo custodisce, lo accarezza, lo nutre, lo innalza, lo riverisce e adora nel suo cuore, come fa la Vergine Madre nel suo corpo e così è beata, non per il seno che l’ha portato o le mammelle che l’hanno allattato, ma perché ha ascoltato la parola di Dio e l’ha custodita.[10]
Laquelle l’ayant ainsy spirituellement conceu et en estant enceinte elle le garde, cherist, nourrist, eslève, revère et adore en son coeur, comme faict la Vierge Marie en son corps et ainsy est heureuse, non pour ce qu’elle est le ventre qui l’a porté cu les mammelles qui l’ont allaicté, mais pource qu’elle a ouy la parolle de Dieu et l’a gardé.
Anche se questo colloquio non si fa espressamente e con parole formate, tuttavia tacitamente e in spirito la sostanza e l’effetto di tali propositi si verificano dentro l’anima.
Et bien que ce colloque ne se face poinct expressement et par parolles formées, touttesfoiz tacitement et en esprit la sustance et effect de telz propos se passe dedans l’âme.
3. La volontà di Dio è «spirito e vita»
Le parole giovannee, tanto care a Francesco: «Le mie parole sono spirito e vita»,[11] ritornano almeno 16 volte in Canfield; fino a 7 volte nei capitoli VI e VII dell’Exercice. Infatti l’unione alla Volontà di Dio conduce l’anima all’unità di spirito, di amore, di cuore, di volontà, all’esperienza dello «spirito e vita» di Dio.
Fonte: Benoît de Canfield, Exercice de la Volonté de Dieu, cap. VI; ediz. critica di J. Orcibal, Beroît de Canfield cit., 74; testo e commento in Optatus van Asseldonk, Le Christ crucifié, 357-359.
9203 La manifestazione per prima cosa mostra all’anima questa vera volontà divina come è in Dio, facendole veramente gustare, secondo la sua capacità e per esperienza, ciò che è dello spirito e della vita. È cosa che sorpassa talmente ogni comprensione che non esiste né spirito né dottrina che vi possano attendere, dal momento che naturalmente non si possono superare i limiti della natura. Ma per conoscere lo spirito e la vita, bisogna essere nello spirito e nella vita, ossia essere spirito e vita. E questo è superiore alla natura ed eccede i suoi limiti. È chiaro allora che da questo grado di manifestazione, che ci mostra per prima cosa la volontà di Dio, che è spirito e vita, ne viene di conseguenza che essa ci eleva.
Car la manifestation monstre premièrement à l’âme ceste vraye volonté divine comme elle est en Dieu, faisant vrayment gouster à l’ame en sa cappacité propre et par expériance qu’est ce que c’est que de l’esprit et de la vye, chose qui surpasse de tant tout entendement qu’il n’y a ny esprit ny doctrine quelconque qui y puisse atteindre: veu que naturellement on ne peult exceder les bornes de la nature.
Mais pour scavoir l’esprit et la vye, il fault estre en esprit et en la vye, voire estre esprit et vye, ce qui est par dessus la nature et excède ses bornes. Doncq de ce degré de manifestation, lequel nous monstre premièrement la volonté de Dieu qui est esprit et vye, consequemment elle nous eslève.
4. Unità sponsale con Dio in Cristo con Maria
Il testo è ricavato dalla terza parte della Règle de Perfection ufficiale del 1610 che tratta dell’unione intima mistica («suréminente»), cioè della Volontà di Dio essenziale dove nessun mezzo umano può arrivare, ma solo divino. Ed è in questo contesto che Benedetto da Canfield ritorna sul tema della maternità sponsale già fortemente presente nell’Exercice e nelle prime due parti della Règle. Il testo è di grande importanza nella dottrina mistica del cappuccino inglese.
Fonte: Benoît de Canfield, Régle de Perfection III, cap. V; ediz. Critica di J. Orcibal, Benoît de Canfield, 361-364; testo e commento in Optatus van Asseldonk, Le Christ crucifié, 383-387. Da notare che nel testo originale francese sono segnate le trasformazioni redazionali, laddove le parole in corsivo rimandano all’edizione d’Osmont, mentre quelle fra parentesi quadre riproducono le espressioni dell’edizione ufficiale del 1610.
9204 Beata l’anima che sperimenta in sé questa manifestazione, questa pienezza e questo scioglimento, ossia la manifestazione della cosa desiderata, il compimento dei desideri e il loro svanire, realtà che necessariamente si avvicendano tra loro.
Heureuse l’âme qui expérimente en elle cette manifestation, ce remplissement et cet évanouissement [à savoir la manifestation de la choise désirée, le remplissement des désirs, et l’évanouissement d’iceux, lesquels points nécessairement s’entresuivent].
Felice l’anima che così manifestamente vede in sé lo Sposo e ne è così pienamente ricolma da lasciare in lui svanire i suoi desideri e atti particolari; cioè davvero felicissima tale anima, poiché in questa manifestazione lo vede, dove e come in essa egli riposa. «In meridie»,[12] ossia nell’ardore del suo amore e abbondanza della sua chiarezza.
Heureuse l’âme qui ainsi [40r] manifestement voit l’époux en elle, qui en est ainsi pleinement remplie, et qui irsi en lui laisse évanouir ses désirs, et actes particuliers; voire très heureuse l’[telle] âme, car en telle [cette] manifestation elle le voit, où et comment il couche [repose] en elle. «In meridie» (Cant.), à savoir en l’ardeur de son amour, et abondance de sa clarté;
In questa pienezza essa si vede tutta presa e posseduta dal suo Sposo che vi si è talmente inserito e rivestito di lei come di un vestimento,[13] che da quel momento tutte le forze dell’anima sono raccolte a riceverlo, sono occupate in lui e usate a intrattenersi con lui. E cosí tutta ricolma di lui è come la sposa incinta e come se avesse concepito Gesù, secondo le sue parole: Quicumque fecerit voluntatem Patris mei, qui in coelis est, ille meus frater, et soror, et mater est (Mat. 12; Mar. 3); chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è mio fratello, e mia sorella e mia madre.[14]
en tel remplissement elle se voit toute saisie et remzplie [possedée] de son époux qui s’est tellement ingéré en elle et ainsi revétu [94] d’elle comme d’un vétement [s’empare d’elle, en sorte] que déès lors toutes ses forces sont bandées à sa réception, occupées en lui, et employées ex son entretènement [à l’entretenir): et toute [ainsi] remplie de lui elle demeure comme l’épouse enceinte, et comme ayant congu Jésus, suivant ce qu’il a dit: [40v] «Quicumque fecerit voluntatem patris mei, qui în coelis est, ille meus frater, et soror, et mater» (Mat. 12; Mar.3). Quiconque ferà la volonté de mon père qui ès cieux, icelui est mon Frère, et ma Soeur, et ma Mère.
In questo svuotamento dei desideri, essa dimora fissata nell’abisso della divinità del suo tanto desiderato e amoroso Sposo. Non le manca nulla di bene dopo quella manifestazione; nessuna dolcezza trova fuori di sé dopo tale pienezza; dopo questo svuotamento ogni impedimento di unione è scomparso.
En tel évanouissement de désirs, elle demeure plongés en l’abîme de la divinité de son tant désiré et amoureux Epoux. Rien de beau ne lui manque après telle manifestation; nulle douceur est hors d’elle [ne lui défaut] après tel remplissement, nul empèchement d’union se rencontre après tel évanouissement.
9205 In questa manifestazione vede il suo Sposo tutto nudo, in questa pienezza Lo accoglie in sé, e tutta denudata da questo svuotamento si unisce a lui,[15] nuda come lui. Ogni bontà viene mostrata agli occhi della sposa che diviene estatica per la meraviglia; ogni dolcezza e soavità è infusa nelle parti più segrete e amorose del suo interiore, che si liquefa in dolcezza; quasi tutti i segreti gli sono rivelati che la fanno rimanere attonita. Nulla è più bello di questa visione, né dilettevole come questa soavità, né così intimo come questo amplesso.
Par cette manifestation elle voit son époux tout nu [Dieu comme è découvert], en ce remplissement le recoit en elle, et par cet évanouissement [41r] toute dénuée se conjoint à lui, ainsi nue comme lui: toute beauté y est montrée aux yeux de l’épouse, laquelle la ravit en admiration; toute douceur [suavité] infuse aux plus secrètes et amoureuses parties [en son intérieur], qui la confit en douceur; tous secrets quasi lui sont découverts, qui la font étonner.
Quanto è glorioso contemplare la nudità del proprio Dio! Quanto è dolce allorché l’anima si unisce con Dio e gli fa posto fra le sue mammelle![16] Che atto nobile è questa sua unica e dolce operazione in lei, senza far altro che soffrire la sua inattività! Oh che immensa bellezza risplende in questa visione in cui viene scoperto il volto divino che sorride amorosamente all’anima! Che dolcezza prova quando, ambedue nudi, si abbracciano! Che soavità penetra in tutte le sue potenze e s’infonde nell’anima, quando la sinistra dello sposo è sotto il suo capo e la sua destra l’abbraccia[17] e con tocco vivo e divino opera nelle parti più intime del suo essere!
Rien n’est si beau que cette vision; rien si plaisant que cette douceur; rien si étroit que cet embrassement. O quelle chose si glorieuse que de voir [contempler] la nudité de son Dieu [l’Essence divine]? Quelle chose si douce que quand l’âme s’unit avec lui [Dieu], et lui donne place entre ses mamelles? Quelle ceuvre si noble que son unique et douce opération en elle, sans qu’elle fasse rien que [41v] souffrir son inaction. O quelle immense beauté reluit en cette vision où est découverte la divine face amoureusement riante sur l’âme! O quelle douceur est-ce qu’elle sent quand tous deux dénués [97] ils s’entr’embrassent [è découvert]! Quelle suavité coule en toutes ses puissances, quand la senestre de l’époux est sous son chef, et sa dextre l’embrasse, s’infond en elle, et par vif et divin attouchement besongne au fond de toutes ses intimes parties [opère en son intimité] (Cant. 2)?
Certamente nessuno può conoscere tale bellezza, né immaginare un tocco così soave, se non colui che ne ha fatto l’esperienza, anzi neppure costui, se non nel momento soltanto in cui attualmente lo sta sperimentando.
Certes nul ne peut connaître telle beauté ni excogiter telle douceur, ni imaginer tel soiief attouchement, que celui qui les a expérimentés, ni encore celui-là sinon alors seulement qu’actuellement il les expérimente.
5. La contemplazione più perfetta
Questo brano prova come, anche nella più alta contemplazione, non bisogna mai lasciare il Cristo crocifisso, nel suo duplice stato di Dio-Uomo (per modum unius).
Fonte: Benoît de Canfield, Régle de Perfection III, cap. XX; ediz. critica di J. Orcibal, Benoît de Canfield, 4615; testo e commento in Optatus van Asseldonk, Le Christ crucifié, 399-402.
9206 Toccando questo punto, ho trovato con mia grande sorpresa formalmente la stessa proposizione negli scritti di alcuni santi personaggi, come san Bonaventura (Stimulus divini amoris, parte I, cap. 4), san Francesco (Chroniche dei frati minori, libro I, cap. 10) e Madre Teresa (nella sua Vita, cap. 22), e cioè che non bisogna lasciare la Passione per una più alta contemplazione.
Et touchant ce point, j’ai été fort aise d’avoir trouvé [172v] formellement dans les écrits de quelques saints personnages (S. Bon. Stim. div. 4. p. I c. 4 — S. François, Chron. frer. Min. liv. I, cap. 10 — Mère Thérèse en sa vie, c. 22), cette mème proposition, qu’il ne faut pas laisser la passion pour la haute contemplation.
In particolare il nostro padre san Francesco dice che l’anima pura cerca di trasformarsi nei dolori di Gesù Cristo, riputando tutte le altre vie come vivande mortali e questa solo come medicina, amara al gusto, ma gustosissima nel suo frutto e dolcissima nella sua operazione, poiché qui essa prova che il suo amore si trova bene solo nella sua Passione caritativa, e che quanto più si trasforma in Dio alto e glorioso, tanto più l’umanità non si può separare dalla divinità. E così l’anima contempla l’uno e l’altro stato del suo Dio, affinché non sia mai separata da lui (come avverrebbe se lo abbandonasse nella sua Passione), e lo considera mortale e immortale.
Et particulièrement notre père saint Frangois dit que l’âme pure cherche de se transformer aux « douleurs de Jésus-Christ, réputant toutes les autres voies viandes mortelles et cette seule pour médecine, amère au goût, mais très plaisante en son fruit et très douce en son opération, car là elle éprouve que son amour ne se trouve mieux en aucune autre chose [173r] qu’en sa passion charitable, et que d’autant plus qu’elle se transforme en Jésus-Christ crucifié, plus elle se transforme en Dieu haut et glorieux, d’autant que l’humanité ne se peut séparer de la divinité; et ainsi l’ame contemple l’un et l’autre état de son Dieu, è ce qu’elle ne soit jamais séparée de lui (comme elle serait le fuyant en sa passion) et ainsi elle le considère mortel et immortel.
Si vede infine che Dio comunica la sua grazia a coloro che lo seguono nel modo suddetto. Al contrario egli respinge quei presuntuosi che dicono di volersi unire a lui attraverso altre chimere, e tuttavia non escono mai da se stessi, talmente che alla fine si trovano fuori strada. Così diceva questo beato padre e grande contemplativo.[18]
Finalement on voit que Dieu communique sa gràce è Ceux qui le suivent en la susdite façon; et au contraire qu’il l’ôte à ces présomptueux qui disent se vouloir joindre è lui par autres chimères, et néanmoins ils ne sortent jamais d’eux-mêmes, aussi les voit-on enfin tréboucher. Voilà les paroles de ce bienheureux père et grand contemplatif.
6. La Passione di Cristo contemplata nel proprio interno
Benedetto di Canfield, basandosi sul principio che noi siamo Cristo per unione di spirito e di volontà, di amore e di grazia, dimostra che è meglio contemplare Cristo crocifisso più nel nostro interno, in noi stessi e nelle nostre sofferenze che a Gerusalemme. Qui il mistico inglese si mostra assai concreto poiché cerca di incarnare la vera vita mistica nella realtà profondamente umana delle nostre sofferenze, ritrovando la più perfetta deificazione precisamente nella nostra umanità sofferente e ferita. E la scoperta che la più divina saggezza non è solo nella follia della croce, ma anche nella nostra croce unita alla sua.
Fonte: Benoît de Canfield, Régle de Perfection III, cap XVIII, ediz. Critica di J. Orcibal, Benoît de Canfield, 451-454; testo parziale e commento in Optatus van Asseldonk, Le Christ crucifié, 410-415.
9207 Avendo dimostrato che è veramente possibile contemplare la Passione di Gesù Cristo in noi, bisogna vedere perché sia meglio fare così, invece di immaginarlo e contemplarlo nei suoi dolori patiti a Gerusalemme.
Etant donc montré, comme c’est chose véritable, que nous pouvons contempler la Passion de Jésus-Christ en nous-mêmes, il faut voir pourquoi il vaut mieux faire ainsi, que de l’imaginer et contempler comme en Hiérusalem.
La sofferenza reale che noi sentiamo in noi stessi è una immagine della Passione di Gesù Cristo più viva di quella immaginata e sentita fuori di noi, contemplata all’esterno di noi, perché provare il mal di testa o di altro membro mi fa meglio e più vivamente conoscere e sentire i dolori di un amico che soffre allo stesso modo, che non speculare per sentito dire. Così sentire in me il male che ha provato Gesù nostro capo, mi fa conoscere la sua pena più vivamente che solo indagandola intellettualmente. Perciò dice san Bonaventura[19] in riferimento a questa passione: Per passtones addiscit homo compati patienti; attraverso le sofferenze si impara a soffrire con chi soffre.
La souffrance réelle que nous sentons en nous-mêmes est une plus vive image de la Passion de Jésus-Christ que l’imaginaire, et celle que nous sentons au dedans de nous, que celle que nous contemplons au dehors, car tout ainsi que de sentir le mal de téte ou d’autre membre [155v] me fait beaucoup mieux, et plus vivement connaître et sentir les douleurs de quelque ami, souffrant les pareilles, que de les spéculer par oui-dire; ainsi de sentir en moi le mal qu’a enduré Jésus notre chef, me fait plus vivement connaître sa penie qu’en la spéculant. Et pource (dit S. Bonaventure) parlant de cette Passion, «per passiones addiscit homo compati patienti» (2 Stim. div. amo. par I, c.2). Par les soutfrances on apprend à endurer avec celui qui souffre.
Se nei nostri dolori noi contempliamo la Passione fuori di noi, sembra che questo causi molteplicità, in quanto l’anima passa dalle sue sofferenze a quelle di Gesù Cristo; ma trovandolo perfettamente in noi stessi, non si guarda che un semplice oggetto delle due sofferenze, e con questo mezzo si riduce tutta la sua pratica all’interiore, al suo interno esercizio, che è un notevole progresso. Guardare la Passione nei nostri dolori è una eccellente battaglia, ma vederla in noi stessi presuppone un’assoluta vittoria.
Si en nos douleurs nous contemplons la Passion hors de nous, il semble que cela cause de la multiplicité, l’âme passant de ses souffrances à celles de Jésus-Christ; mais [156r] le trouvant perfaitement en nous-mêmes, on ne regarde qu’un simple objet des deux souffrances, et par ce moyen on réduit toute sa pratique à l’intérieur, et à son exercice dedans soi-mêmé, ce qui est un grand avancement. De regarder la Passion en nos douleurs est une excellente bataille, mais de la voir en nous-mêmes présuppose une absolue victoire.
9208 Del resto il fine per cui si contempla la Passione di Gesù Cristo è di renderci ad essa conformi, ma riguardando così la Passione nei nostri dolori, ci conformiamo ad essa con una volontaria e gioiosa accettazione di questi in unione e contemplazione di quelli di Gesù Cristo. In tal modo con questo sguardo della Passione nelle nostre sofferenze noi raggiungiamo lo scopo della contemplazione della Passione.
Davantage la fin pourquoi on contemple la Passion de Jésus-Christ est de nous y rendre conformes, mais regardant ainsi la Passion en nos douleurs, nous nous y rendons conformes par une volontaire et joyeuse acceptation [156v] d’icelles en l’union et contemplation de celles de Jésus-Christ, donc par tel regard de la Passion en nos souffrances nous obtenons la fin de la contemplation de la Passion.
Inoltre molti sono che non possono, se non con difficoltà e brevemente, rappresentarsi con l’immaginazione la Passione di nostro Signore, ma non c’è nessuno che non lo possa fare col sentimento dei propri dolori, poiché non tutti posseggono una viva apprensione immaginativa, ma tutti hanno un vivo sentimento delle proprie afflizioni.
Outre ce il y a plusieurs qui ne peuvent pas que difficilement et brièvement par imagination se présenter la Passion de notre Seigneur, mais il n’y a personne qui ne le puisse faire par le sentiment de ses propres douleurs; car plusieurs manquent d’une vive appréhension imaginative, mais personne n’a faute de vif sentiment de ses propres afflictions.
Così se nei nostri dolori noi guardiamo alla Passione di Gesù Cristo fuori di noi, sembra che voltiamo le spalle e rifiutiamo di soffrire, andando verso di Lui più spesso per trovare una nostra consolazione, piuttosto che per suo vero amore. All’opposto, vedendolo nelle nostre sofferenze dentro di noi, noi abbracciamo l’amarezza così facilmente come la sua e attendiamo con avidità al punto d’’afflizione come questo ci inchiodasse e appendesse con lui sulla croce.
Aussi si en nos douleurs nous regardons la Passion [157r] de Jésus-Christ hors de nous, il semble que nous tournons le dos et refuyons de souffrir, allants vers lui le plus souvent pour notre consolation plutôt que pour son vrai amour, mais le voyant en nos souffrances dedans nous, nous embrassons l’amertume plus facilement comme la sienne, et poursuivons avec avidité la pointe d’affliction comme celle qui nous cloue et attache avec lui en Croix.
9209 L’unione che si realizza attraverso i dolori che sono in noi è molto piú stretta delle amarezze che si trovano accanto a noi, ed è pure molto più vera e perfetta perché i dolori ci sono veramente e non per una memoria lontana.
L’union qui se fait par les douleurs qui sont en nous est d’autant plus étroite que les amertumes sont près de nous, et d’autant plus vraie et parfaite que les douleurs y sont vraiement, et non par la seule souvenance.
È un modo di far vedere Gesù che attualmente e vivamente soffre, perché i dolori sono presenti e vivi; ciò che l’altro modo non effettua così perfettamente.
Une manière fait voir Jésus [157v] souffrant présentement et vivement, pource que les douleurs sont présents et vives: ce que l’autre n’effectue pas si parfaitement.
Con uno impara a vedere in ciascun dolore Gesù Cristo che soffre dentro di noi, e questo è il primo oggetto della vista; con l’altro invece la propria afflizione si presenta come il primo oggetto, da vicino, e Gesù come da lontano.
Par l’une on s’accoutume en chacune douleur de voir en soi Jésus-Christ souffrant, comme le premier objet de la vue; mais en l’autre, la propre affliction se présente comme le premier objet, de près, et Jésus comme de loin.
In breve, nel primo modo l’unione non è interrotta dall’afflizione, perché vi si discerne il dolce Gesù che soffre in noi; nell’altro invece sembra proprio il contrario, perché lo si guarda come sofferente fuori di noi ed è per questo che il santo personaggio già citato dice che bisogna contemplare nostro Signore che soffre nella sua Passione dentro di noi.[20]
Bref en la première manière, l’union n’est interrompue par affliction; pource qu’on y discerne le doux Jésus pàtissant en nous; mais en l’autre, il semble aucunement au contraire, pource qu’on le regarde comme souffrant hors de nous, et c’est pourquoi ce [158r] susdit saint personnage dit qu’il faut contempler notre Seigneur souffrant en sa Passion dedans nous-mêmes.
Perciò, fondati sulla Sacra Scrittura, sui Dottori e sulle ragioni sopra allegate, bisogna restare fissi con perseveranza nella nostra sofferenza come in quella di Gesù Cristo, senza dubitare o ricercare intellettualmente se essa è la Passione di Gesù Cristo o no, come fa l’anima poco illuminata. E sarà facile a condizione di essere veramente fedele alla croce, cioè volere cordialmente soffrire la tribolazione e non voler essere consolati, e allora svanirà ogni dubbio.
Donc (fondé sur la Sainte Ecriture, Docteurs et raisons ci dessus alléguées) faut demeurer fiché avec toute constance dans notre souffrance, comme en celle de Jésus-Christ sans aucune vacillation ni recherche par discours si elle est la Passion de Jésus-Christ ou non, comme fait l’âme peu illuminée: ce qu’on fera facilement moyennant qu’on soit vraiment fidèle à la croix, c’est à dire de vouloir cordialment souffrir la tribulation, et ne vouloir pas être consolé; car cela étant on ne doutera pas [158v] de ce point.
9210 E non bisogna avventurarsi in questa pratica senza essere svezzati dalla mammella della consolazione e risoluti a perseguire questa punta di amarezza. Alcuni invece vorrebbero, si, soffrire in croce con Gesù Cristo, ma con l’intenzione ut lapides isti panes fiant,[21] ossia che queste amarezze siano subito cambiate in dolcezze, e pur fanno credere di amare la croce che invece rifiutano e così sono tanto alieni dal vedervi Gesù Cristo, come aborrire la croce è lontano da portargli riverenza, o detestarla come un serpente è lontano dall’abbracciarla come un bene desiderabile.
Et ne faut pas entrer au cabinet de cette pratique, qu’on ne soit sevré de la mamelle de consolation et résolu de poursuivre cette pointe d’amertume; dont il y a quelques-uns qui voudraient bien souffrir en croix avec Jésus Christ, mais avec intention, «ut lapides isti panes fiant» (Mat. 4), que ces amertumes soient soudainement changées en douceurs, se faisants toutefois accroire qu’ils aiment la croix, laquelle ils refuient, et par ainsi sont autant éloignés d’y voir Jésus-Christ, comme abhorrer la croix est loin de lui porter révérence, et la détester comme un serpent est loin de l’embrasser [159r] comme un bien souhaitable.
Del resto bisogna stare attenti che per contemplare così Gesù Cristo in noi, non si devono contemplare se non dolori e sofferenze, poiché cercarvi o ammettere la consolazione sensibile sarebbe come aprire la porta alle truffe.
Au reste il faut bien prendre garde que pour contempler ainsi Jésus Christ en sa Passion en nous, il n’y faut rien contempler que douleurs et souffrances, car d’y chercher ou admettre la consolation sensible serait ouvrir la porte aux tromperies.
Si prendano dunque tutte le pene e le sofferenze non come nostre, ma come di Gesù Cristo, che si vede e si contempla come è inchiodato sulla croce e viene crocifisso in noi, gettando ogni pena, afflizione e dolore del corpo e dell’anima nel fuoco e nelle fiamme dei tormenti di Gesù, dove saranno consumati e uniti ai suoi; allora si potrà dire con san Paolo: Christo confixus sum cruci, io sono crocifisso in croce con Gesù Cristo,[22] e si realizzerà la sua esortazione: Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu, sentite in voi gli stessi dolori che furono in Gesù Cristo.[23]
Donc qu’on prenne toutes les peines et souffrances non comme nôtres, ains comme celles de Jésus-Christ, qu’on voie et contemple, comme il est cloué en croix et crucifié en nous: jetant toute peine, affliction et mal du corps et de l’àme dans le feu et flammes des tourments de Jésus: où ils seront consommés et unis aux siens, et ainsi on dira [159v] avec l’Apôtre: Christo confixus sum cruci (Gal. 2), je suis cloué en croix avec Jésus-Christ, et accomplira on son exhortation: Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu (Phil.2), sentez en vous-mêmes les douleurs de Jésus-Christ.
9211 E non si creda che sia presunzione riconoscere così e contemplare Dio nelle nostre sofferenze; anzi, al contrario, tutta una moltitudine di virtù vengono accompagnate e confermate da questa verità.
Et qu’on ne pense pas que ce soit présomption de reconnaître ainsi, et contempler Dieu en nos souffrances; mais bien au contraire il ya une assemblée de toutes les vertus accompagnées et confirmées par la verité.
E in primo luogo vi risplende una grande abnegazione di sé che non solo fa disprezzare se stessi e accettare l’afflizione, l’obbrobrio e l’amarezza con pazienza, ma li fa abbracciare con gioia e affetto. Vi è poi una grande fedeltà verso lo Sposo celeste in quanto l’anima non solo lo riconosce in se stesso, ma anche nella sua creatura che l’abbraccia fra le spine di pungenti afflizioni, che ammira la sua grandezza nella propria piccolezza, che l’onora nella sua povertà e obbrobrio.
Et premièrement il y reluit une grande abnégation de soi-même qui fait non seulement se mépriser et accepter l’affliction, opprobre et amertume avec tolération: [160r] mais aussi les embrasser avec joie et affection. Il y a une grande fidélité vers l’époux céleste en ce que l’àme le reconnaît non seulement en lui-même, mais aussi en sa créature, qui l’embrasse parmi les épines de poignantes afflictions, qui admire sa grandeur en sa petitesse, qui l’honore en sa vileté et opprobre.
E quanta rassegnazione si trova in questa pratica di accettare così il calice! Quanto coraggio nel sorbirlo in quel modo! Quale pazienza nel patire in quel modo! E quanta fiducia nel gettarsi così fra le spine! Che fuoco di carità lanciarsi in questo modo tra le fiamme della tribolazione! E quanta costanza nel non voler più uscirne, ma annichilare se stessi per esaltare Lui nel nostro cuore, come dice il salmista: «L’uomo penetrerà nel profondo del cuore, e Dio sarà esaltato»[24]; e per farvelo vivere, morire, come quelli che dicevano: «Noi abbiamo avuto una risposta di morte in noi stessi».[25]
Et quelle résignation est celle qui se trouve en cette pratique, d’accepter ainsi le calice? Quel courage de le boire en cette sorte? Quelle patience d’endurer en cette manière? Quelle confiance de se jeter en cette façon à travers les épines? Quel feu de charité de se mettre ainsi dans les flammes de [160v] tribulation? Et quelle constance de n’en vouloir pas sortir, ains s’anéantir soi-même pour l’exalter en son coeur, comme est dit: «L’homme pénétrera jusques au fond du coeur, et Dieu sera exalté» (Psal. 63), et finalement qui, pour l’y faire vivre, se meurt comme ceux qui disaient: «Nous avons reu réponse de mort en nous-mêmes» (2 Cor 1).
9212 Questa presunzione non può trovar posto dentro di noi, per il fatto di vedervi la Passione di nostro Signore, perché prima di poterla così discernere bisogna che noi ci troviamo distaccati da noi stessi come da una persona straniera per mezzo di una totale rinuncia di sé e completa accettazione dell’amarezza e dell’afflizione e allora non si fa nessun conto di sé stessi a causa della presenza di Dio visto dentro di noi.
Cette présomption aussi ne peut avoir place dedans nous, pour y voir la Passion de notre Seigneur, car devant qu’on la pouisse ainsi discerner, il faut que nous soyons aussi éloignés de nous-mémes comme d’un étranger par le total renoncement de soi, et embrassement de l’amertume [161r] et affliction et ne fait-on aucun état de soi-même, à cause de la présence de Dieu qu’on voit en soi.
Ma su questo tema di Gesù in croce in noi, si potrà leggere il cap. 32° del nostro libro Chevalier Chrestien, seconda parte.[26]
Et de ce sujet de Jésus en croix en nous, on pourra voir le trente deuxième chapitre de notre livre du Chevalier Chrestien, seconde partie.
7. La divina sapienza della croce sulla vetta della pura sofferenza
Nel contemplare la Passione di Cristo impressa nel nostro cuore, Canfield permette, anche nella via mistica «suréminente» o della volontà di Dio essenziale, l’uso delle immagini di Cristo crocifisso, e suggerisce che bisogna ravvisare interiormente i dolori più grandi da noi sofferti dove meglio appare «la semplice e povera forma e immagine di Gesù crocifisso» e li cercare il punto più profondo dell’amarezza e del dolore, in modo da volere solo il puro amore del Crocifisso e la nuda unione con lo Sposo, senza amor proprio. È in questa ricerca che si scopre il vero mistero e la divina sapienza della croce.
Fonte: Benoît de Canfield, Régle de Perfection, INI, cap. XIX; ediz. Critica in J. Orcibal, Benoît de Canfield, 457s; testo e commento in Optatus van Asseldonk, Le Christ crucifté, 416s.
9213 Inoltre non solo bisogna semplicemente e fedelmente accettare questa forma o immagine di disprezzo o amarezza, ma chi vuole aderire a Gesù Cristo crocifisso deve anche raggiungere l’acme di questo disprezzo o amarezza, ossia il punto più acuto e doloroso, che deriva da una triplice afflizione temporale, corporale o spirituale, ciascuna delle quali ha corrispondenza col cuore attraverso l’amarezza e contrarietà della natura. È questa amarezza interna che io chiamo la punta d’afflizione. Essa deve essere particolarmente rimirata, accettata e perseguita come la chiave che apre la stanza segreta dei tesori della divina sapienza e dei profondi misteri di questa Passione.
De plus non seulement il faut simplement et fidèlement accepter telle forme ou image de mépris ou amertume; mais aussi quiconque veut adhérer à Jésus-Christ crucifié, il faut qu’il poursuive la pointe de tel mépris ou [166v] amertume; or cette pointe est celle qui pique et angoisse le plus, laquelle naît d’une triple affliction temporelle, corporelle ou spirituelle, chacune desquelles répond au coeur par amertume et contradiction de la nature, et cette amertume interne est celle que jappelle la pointe d’affliction, laquelle il faut particulièrement regarder, accepter et poursuivre comme étant la clé qui ouvre la porte du cabinet secret des trésors de la divine sapience et profonds mystères de cette passion.
E qualora fosse dalla consolazione smussata e respinta, bisogna di nuovo affilarla con richiamare le stesse afflizioni, ripresentandole davanti agli occhi dell’anima. Se non si fa così e ci si abbandona alla consolazione, l’anima non verrà mai istruita da questa sapienza; ed è proprio qui che molte anime si perdono, poiché incominciano a contemplare Gesù Cristo in croce e nell’amarezza; ma appena egli si mostra ad esse secondo il loro desiderio, si abbandonano alla vista e contemplazione di lui solo senza la sua croce e respingono le sue dolorose angosce e così non si immergono nell’abisso di questo mistero e non penetrano né apprendono l’ammirabile e incognita sapienza ivi nascosta.
Laquelle pointe, si par la consolation elle devient mousse et rebroussée, il la faut derechef aiguiser par un rappel des mêmes afflictions, les [167r] présentant devant les yeux de l’âme; ce qui si on manque è faire se laissant aller à la consolation, l’âme ne sera jamais endoctrinée par cette sapience: et c’est ici où plusieurs âmes s’égarent, contemplants au commencement Jésus-Christ en la croix et amertume; mais aussitàt qu’il se montre à elles selon leur désir, elles se laissent aller à la vue et contemplation d’icelui seul sans sa croix, et laissant arrière ses douloureuses passions, et ainsi ne profondent pas l’abîme de ce mystère, ni pénètrent et apprennent l’admirable et inconnue sapience cachée en icelui.
È a riguardo di questa punta d’afflizione che si dice: Vexatio dabit intellectum,[27] l’afflizione aprirà l’intendimento; essa è il fiele che ridona la vista che lo sterco di questo mondo aveva rovinata[28]; è il collirio col quale bisogna ungere gli occhi per vedere bene.[29]
Car cette pointe d’affliction est celle de laquelle il est dit: Vexgtio dabit intellectum (Isa. 28), [167v] l’affliction ouvrira l’entendement; est le fiel qui rend la vue que la fiente de ce monde avait gâtée (Tobie 11) et le collyrium duquel il faut oindre les yeux pour bien voir (Apoc. 3).
8. L’annichilazione attiva nella semplice visione passiva del Tutto incarnato e crocifisso
Nella contemplazione di Cristo crocifisso, Dio-Uomo, Canfield ricorre all’annichilazione attiva, che serve a dare nel fondo dell’anima un semplice e nudo sguardo, per mezzo della nuda fede, al di là di ogni immagine. È una visione che si realizza per opera dello Spirito di Dio e della sua volontà «essenziale», che è puramente spirito e vita di Dio in noi.
Fonte: Benoît de Canfield, Règle de Perfection III, cap. X; e XIX; ediz. critica in J. Orcibal, Benoît de Canfield, 396s, 458s, dove sono segnate le trasformazioni redazionali, con le parole in corsivo per l’edizione d’Osmont e fra parentesi quadre per le espressioni dell’edizione ufficiale del 1610; testo e commento in Optatus van Asseldonk, Le Christ crucifié, 418-421.
9214 Bisogna essere così perfettamente uniti a questa essenza che sempre il nostro sguardo sia continuo e non distratto, cioè non interrotto, e così non occorrerà un atto particolare per continuarlo, dal momento che l’anima vi dovrà essere tanto assorta e così lontana da qualunque movimento proprio che il suo sguardo sia solo passivo nello sguardo di Dio. Non che il suo sguardo non veda Dio, ma è rimasto come tirato fuori dell’anima da questa bontà e vita, e non operato da essa, in modo tale che l’anima resta perfettamente passiva e nel suo niente, eccetto una semplice rimembranza di lui; come se questo sguardo fosse altrove e non nell’anima, e questa pure in lui, come il pesce nel mare[30] e l’uccello nell’aria; e rispetto al quale lo sguardo dell’anima deve essere come passivo, rimanendo nel suo niente, cioè questo sguardo deve essere estratto da essa ad opera di questa divina bontà, e non inviato dall’anima.
Il faut être si parfaitement uni à cette essence, que toujours notre regard soit continuel et non distrait, à savoir non interrompu, et ainsi n’y aurait pas de besoin [190] d’acte particulier pour le continuer, joint que l’âme u devrait être tant assoupî, et si Éloignée de tout propre mouvement que son regard fût seulement le patient du regard de Dieu, non que son regard fit tiré hors de l’âme par cette beauté et vie, et non envoyé d’icelle âme, à celle fin qu’ainsi l’âme demeure parfaitement la patiente et en son rien [autre que la simple ressouvenance de lui; comme s’il était ailleurs et non dans l’âme, et l’âme aussi en lui, ainsi que le poisson dans la mer, et l’oiseau dans l’air, au respect [78v] duquel le regard de l’âme doit être tiré hors d’elle par cette divine beauté, et non envoyé de l’âme.
9215 Similitudine rilevante: Allo stesso modo che il sole colpendo un corpo diafano, cioè trasparente come l’acqua, il vetro e il cristallo, produce e attira un reciproco splendore da lui e verso di lui, così Dio che colpisce con i raggi del suo sguardo l’anima, attira verso di lui un vicendevole sguardo; ma come questo scambievole splendore dell’acqua e del cristallo non viene solo da essi per loro virtù, ma principalmente per il sole, così questo sguardo perfetto non parte principalmente dall’anima o da qualche suo atto, ma da Dio. E come questo splendore non è lo splendore dell’acqua, ma del sole, e penetrando e rendendo luminosa l’acqua ritorna verso il sole, così la luce di questo sguardo non è dell’anima, ma di Dio, il quale, essendo spirito e vita e limpida luce, penetra e rende lucente l’anima, e così ritorna a lui e di quando in quando attira l’anima con lui ed essa diventa così una sola cosa con lui […].[31]
/Similitude remarquable/. Car tout ainsi que le soleil frappant sur quelque corps diaphane, à savoir [ou] transparent comme l’eau, le verre [la terre] et cristal, attire et tire hors une réciproque splendeur de vers lui, ainsi Dieu qui jette les rayons de son regard sur l’âme, attire vers lui un réciproque regard; mais comme cette réciproque splendeur de l’eau, et du cristal ne vient pas d’eux seulement ni par [de] leur vertu, mais par le [principalement du] soleil; ainsi ce regard parfait ne vient pas principalement [79r] de l’âme, ni par quelque acte sien, ains de Dieu. Et comme cette splendeur n’est pas la splendeur de l’eau, ains du soleil, laquelle pènétrante et clarifiante l’eau retourne vers le soleil: ainsi la lumière de ce regard n’est de l’âme, ains de Dieu: leguel [et] étant l’esprit, et la vie et lurzière [clarté] pénètre et clarifie l’âme, et ainsi s’en retourne à lui [Diex], et quant et quant tire l’âme avec lui, qui se fait [laquelle ainsi est faite] une mème chose avec lui [Diex]. […]
9216 L’anima, stando in questo stato, deve contemplare e riverire profondamente Dio in questa immagine, né più né meno che se lo vedesse in cielo, senza alcuna differenza; non deve desiderare di vederlo in altro modo, ma considerarsi felicissima e indegnissima di essere ammessa a vedere il suo Dio in questa bassezza e scoprirvi la sublimità del suo mistero.
E deve badare con cura di non desiderare una unione sensibile, ma restare fissata sulla roccia della viva fede, e non deve elevare il suo spirito oltre questa bassezza, dove restando costante e stabile, essa troverà l’Altissimo. E non deve cercare né desiderare Dio, ma con ogni sicurezza e verità persuadersi di averlo trovato e comportarsi davanti a lui come davanti al suo trono e non esitare, ma appoggiarsi sulla verità, e non credere ai sensi, ma alla fede, e non introvertirsi, ma annichilarsi davanti a Dio, evitando ogni atto dell’intelletto, eccetto una semplice e viva rimembranza di questo grande Tutto crocifisso, come è stato detto nel cap. 10 e 13,[32] sulla traccia della dottrina di san Bonaventura il quale, trattando di questa Passione, dice che per essere trasformati in essa bisogna interrompere ogni operazione naturale e intellettuale e far posto all’affetto e presentarsi davanti a lui in stato passivo, lasciandosi fare ciò che gli piace, sia che voglia attirarla a sé o manifestarlesi con una luce più grande, oppure lasciarla nel suo stato.[33]
En après l’âme étant en cet état doit contempler et révérer profondément Dieu en cette image, et ne plus ne moins comme si elle le voyait au Ciel, sans aucune différence; elle n’y doit désirer le voir autrement, ains s’estimer très heureuse et très indigne d’être admise è voir son Dieu en cette bassesse et y découvrir la sublimité de ce mystère: et se doit garder soigneusement de désirer union sensible; ains s’arréter ferme sur la roche de vive foi; et ne doit élever son esprit plus haut [168r] que la hauteur de cette bassesse, là où, si elle veut demeurer constante et stable, elle trouvera le Très-haut; ni chercher ni désirer Dieu, ains avec toute assurance et vérité se persuader l’avoir trouvé et se comporter devant lui comme devant son tréne, ni hésiter, ains s’appuyer sur la vérité, ni croire aux sens, ains à la foi; ni s’introvertir, ains s’anéantir devant Dieu, ni produire aucun acte intellectuel, sinon une simple vue et vive resouvenance de ce grand Tout crucifié, comme a été dit au chap. 10 et 13, suivant l’enseignement de S. Bonaventure, qui parlant de cette Passion dit que pour être transformé en icelle il faut arrêter toute opération naturelle et [168v] intellectuelle pour donner lieu à l’affection et se présenter ainsi devant lui comme passive, lui laissant faire d’elle son divin plaisir, ou pour l’attirer ou se montrer à elle par un rayon plus grand, ou bien pour la laisser en son état (Itin. Mentis in Deum, c. 7).
9217 Essi deve evitare ogni comportamento attivo e soprattutto di voler cambiare la semplice forma con la quale egli si manifesta all’anima, che invece deve lasciarsi cambiare e formare a suo piacimento proprio da questa forma. E notate che questi desideri di volerlo vedere in modo diverso sono la vera causa per cui l’anima non lo vede ammirabile come egli è, poiché tolgono la costanza e il fermo riposo in questa forma e scacciano lontano la profonda riverenza e onore che l’anima vi deve e anche la convinzione che Dio sia li. Per ultimo non bisogna scoraggiarsi nel restare così davanti a Gesù sofferente.
Et faut bien se garder de se comporter activement envers lui; et sur tout de vouloir changer la simple forme sous laquelle il se montre è l’âme, au lieu qu’au contraire, par cette forme il la doit changer et former è son bon plaisir: et notez que ces désirs de le voir autrement sont la vraie cause pourquoi l’âme ne le voit admirable comme il est, d’autant qu’ils dérobent sa constance et ferme repos en [169r] cette forme, et chassent loin la profonde révérence et honneur qu’elle y doit, et méme la croyance que Dieu y soit. Finalement il ne faut pas perdre courage de demeurer ainsi devant Jésus souffrant.
Ecco quindi le imperfezioni in questa pratica della santa Passione. Mi è sembrato utile ripeterle qui brevemente, anche se già si trovano nei suddetti capitoli delle imperfezioni dell’annichilazione, e non sarà difficile evitarle, purché non si manchi nel fondamento della fede, di credere cioè senza esitare che questo Crocifisso è colui che è; e allora ne dedurremo che noi siamo niente ed egli è tutto e ci attirerà e ci assorbirà in sé, come la verga d’Aaron che inghiotti le altre[34] e come il serpente che innalzato nel deserto di questo mondo attira a sé tutte le cose.[35]
Voilà donc les imperfections contre cette pratique de la sainte Passion que j’ai trouvées bonnes è répéter ici brièvement, encore qu’elles se retrouvent aux chapitres susdit des imperfections de l’annihilation, et ne sera pas difficile de s’en garder, moyennant qu’on ne manque au fondement de la Foi, de croire sans hésiter que ce Crucifix est ce qu’il est; car par ainsi nous verrons que nous ne sommes [169v] rien et qu’il est tout, lequel nous tirera et absorbera en lui, comme étant la verge d’Aaron qui engloutit les autres (Exod. 7), et le serpent qui étant élevé au désert de ce monde attire à soi toutes choses (Joan. 12).
9. Contemplazione delle nostre sofferenze come quelle dello stesso Cristo Crocifisso
Il libro Chevalier Chrétien, composto da Benedetto da Canfield in Inghilterra verso il 1600 e pubblicato a Parigi nel 1609, pare che non abbia avuto un grande influsso. Contiene però già un cristocentrismo chiaro, il cui centro è il Dio-Uomo nel mistero della sua unione ipostatica. Il testo qui riprodotto parla dei nostri dolori vissuti e sperimentati come appartenenti allo stesso Cristo crocifisso. E una dottrina «canfieldiana» già presente, quindi, e praticata dal mistico inglese nel 1600.
Fonte: Benoît de Canfield, Chevalier Chrétien, Paris, chez Castellain, 1609, 440-443; il testo, tra diversi altri citati, è preso da Optatus van Asseldonk. Le Christ crucifié, 381s.
9218 La terza salita è la trasformazione nella croce e Passione di Gesù Cristo, ed è quando con verità si può dire: Christo confixus sum cruci, vivo autem ego, iam non ego, vivit vero in me Christus,[36] io sono crocifisso con Gesù Cristo, e non sono piú io che ora vivo, ma Cristo vive in me.
La troisième montée est la transformation en la croix et Passion de Jésus-Christ, et est quand avec vérité on peut dire: Christo confixux sum cruci, vivo autem ego iam non ego, vivit vero in me Christus (Gal 2), je suis crucifié avec Jésus-Christ, ainsi je vis point maintenant moy, mais Christ vit en moy.
Questa salita inoltre può avere i suoi gradini secondo la misura della perfezione di questa trasformazione. Ora vi è una sommità per riconoscere Gesù Cristo nelle sofferenze e mali che si soffrono, e per questo grado si vede soffrire il dolce agnello con indicibile tenerezza di cuore e si innalza molto in alto lo stendardo della croce e della Passione contemplandola e come mettendola e localizzandola nel Figlio di Dio e qui si incomincia a scoprire le meraviglie della croce.
Ceste montée encore peut avoir ses eschelons suyvant la mesure de la perfection de ceste transformation. Or c’en est un haut de recognoistre Jésus-Christ es souffrances et maux qu’on endure; et par ce degré on voit souffrir, avec une indicible tendresse de coeur, le doux agneau; et esleve-on bien haut la banière de la croix et Passion, la contemplant, et comme mettant et placeant dans le Fils de Dieu, et commence-on icy a descouvrir les merveilleux de la croix.
9219 Ma un grado ancora pi alto è quando, per amore e deiforme sofferenza, ci si è talmente rivestiti della Passione di Gesù Cristo e sì strettamente si congiungono le proprie sofferenze con le sue, che lo si riconosce, lo si vede e lo si ammira così semplicemente, veramente e realmente in ambedue, senza alcuna differenza. Qui l’anima entra nel cielo e rimira fissamente lo Sposo, ubi pascat, ubi cubit in meridie,[37] dove pascola, dove riposa nel meriggio, e vede Dio non meno ammirabile fuori di sé che in se stessa. Qui si innalza ancora più sublime la Passione, alla vista del Re di gloria al di sotto di quella e come egli, il Dio vivente, l’ha presa per sua gloria e amata più della sua vita.
Mais un degré et eschelon encore plus haut est, lors que par amour et deiforme souffrance, on a tellement revestu la Passion de Jésus-Christ et si estroictement connoint ses propres souffrances avec les siennes, qu’on le recognoisse, voye et admire aussi vrayement, simplement et réellement aux unes qu’aux autres, sans aucune difference.
Icy l’âme entre au ciel, et fixement regarde l’Espoux, ubi pascat, ubi cubit in meridie, où il prend son repas, où il repose au midy; et voit Dieu non moins admirable hors de luy-mesme, qu’il est en soy-mesme; icy on esleve encores plus haut la Passion, voyant le Roy de gloire au dessous d’icelle, et que le Dieu vivant l’a prise pour sa gloire, et aymée plus que se propre vie.
9220 Il terzo grado è quando si adora così veramente, semplicemente e realmente Dio in questa croce come nel suo trono, in questa ignominia come nella sua gloria, in questa debolezza come nella sua potenza, senza nulla detrarre di tutto, poiché si tratta, sia nell’una che nell’altra, di una stessa persona. Quando, dico io, si adora così profondamente la sua bassezza, povertà e le sue afflizioni come la sua sublimità, le sue ricchezze e la sua felicità; quando finalmente lo si riverisce con uguale profonda venerazione, bestemmiato dagli uomini e lodato dagli angeli, sputacchiato dai Giudei e adorato dai santi, sofferente in terra e regnante in cielo, ucciso crudelmente e trionfante con magnificenza, senza nessuna differenza e nessuna esitazione.
Le troisième eschelon est, quand on adore aussi vrayement, simplement et réellement Dieu en ceste croix, qu’en son throsne, en ceste ignominie, qu’en sa gloire, en ceste foiblesse, qu’en sa puissance, sans rien rabattre du tout, pour estre une mesme personne es une qu’es autre.
Quand dis-je on adore aussi profondement sa bassesse, pauvreté et peines que sa hauteur, richesses et felicité; quand finalement on le revère d’une esgale profonde venération blasphemé des hommes, que loué des Anges; decraché des Juifs, qu’adoré des sainct; souffrant en terre, que regnant au ciel; occis cruellement, que triomphant magnifiquement, sans aucune différence et sans nulle hésitation.
9221 E questo grado eleva mirabilmente la croce e la Passione, portando le nostre sofferenze sopra il cielo, e facendo come un mondo alla rovescia mette la prosperità, la gloria, l’onore, le ricchezze, i piaceri, la felicità e la vita sotto l’avversità, l’ignominia, il disprezzo, la povertà, l’afflizioni, le miserie e la morte, innalzando queste fino al cielo, e abbassando quelle fino al fango, adorando le prime nella persona di Dio e calpestando le altre come loro contrarie, abbracciando quelle che l’uniscono strettamente a Dio e respingendo le altre che l’allontanano da lui; ed è qui la sublimità della dottrina della croce, per la quale soltanto, senz’altra scienza, san Paolo (come dice) [è diventato] Doctor Gentium, maestro dei gentili[38]; e come anche dice la Chiesa: Praedicator veritatis in universo mundo, annunciatore della verità in tutto il mondo[39]; tenendo presente che lui stesso ha affermato: Non enim iudicavi me scire aliquid inter vos, nisi Iesum Christum, et hunc crucifixum; io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.[40]
Et cest eschelon esleve admirablement la croix et Passion, portant nos souffrances par dessus le ciel, et comme faisant un monde renversé, met la prosperité, gloire, honneur, richesses, plaisirs, felicité et vie, dessous l’adversité, ignominie, mespris, pauvreté, peines, misères et la mort; eslevant cellescy jusques au ciel, et ravallant celles-la jusques à la boue, adorant les unes en la personne de Dieu et foulant aux pieds les autres comme leurs contraires; embrassant celles-la qui l’unissent estroictement a Dieu, et se détournant de celles cy qui l’esloignent de luy:
Et c’est icy la sublimité de la doctrine de la croix, par laquelle seule sans autre science sainct Paul (comme dit) Doctor gentium, docteur des gentils; voire et comme dit l’Eglise Praedicator veritatis in universo mundo, predicateur de vérité par tout le monde: attendu que luy mesme a dit (2 Cor): Non enim iudicavi me scire aliquid inter vos, nisi Iesum Christum, et hbunc crucifixum; je ne me suis rien estimé savoir entre vous, sinon Jésus-Christ, et iceluy crucifié.
- Espressioni paoline. Cf. Rm 6, 6; Ef 4, 22-23; Col 3, 9-10. ↑
- Usiamo questo termine del Bellintani (cf. vol. III/1, nn. 4352-4353) per tradurre intraction, anche perché è probabile che Canfield abbia letto la prima traduzione francese della Pratica dell’orazion mentale, redatta dal parigino Jacques Gaultier e apparsa a Lione nel 1588 col titolo: Practigue de l’oraison mentale ou contemplative (n.d.E.). ↑
- Altra terminologia del Bellintani, come detto nella nota precedente. ↑
- Cf. Gal 2, 20. ↑
- Cf. Gv 15, 5. ↑
- Cf. Sal 72, 22 (Vulg.): Ego ad nihilum redactus sum, et nescivi. ↑
- Cf. Os 2, 22: Et sponsabo te mihi in fide. ↑
- Lc 1, 38. ↑
- Mt 12, 49. ↑
- Cf. Lc 11, 27-28. ↑
- Gv 6, 64. ↑
- Cf. Ct 1, 6: Indica mihi, quem diligit anima mea, ubi pascas, ubi cubes in meridie. ↑
- Probabile allusione ad Ap 12, l: Una donna vestita di sole, tanto più che in seguito Canfield parla della sposa incinta, che rinviaal versetto successivo: Era incinta e gridava per le doglie del parto. ↑
- Cf. Mt 12, 50; Mc 3, 35. ↑
- Come si esprime anche Harphius nella sua Theologia mystica (I p., c. 134, ed. 1538, f. 125 F): «Nuda nudo sponsa jungitur, ab omni affectione et intentione peregrina depurata». ↑
- Cf. Ct 1, 12 (Vulg): Dilectus meus mihi, inter ubera mea commorabitur. ↑
- Cf. Ct 8, 3; 2, 6: «La sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia». ↑
- Per le citazioni riferite cf. lo pseudo-bonaventuriano Stimulus amoris I, cap. 4,5 (S. Bonaventura, Opera omnia, ed. Péltier, XII, Paris 1868, 650); Marco da Lisbona, Delle Croniche de’ Frati Minori, lib. I, cap. 87, Venezia 1583, 163: ma la frase è tolta dall’Arbor vitae crucifixae Jesu di Ubertino da Casale; S. Teresa di Gesù, Vita, c. 22 (Ediz. Paoline, Alba 1957, 190-200). ↑
- È il trattato pseudo-bonaventuriano, ma di Giacomo da Milano, Stimulus divini amoris, pars I, cap. 2, instructio 3 (S. Bonaventura, Opera omnia, XII, Paris 1868, 636). ↑
- È un riferimento a san Pietro d’Alcantara nel suo Trattato dell’orazione e meditazione. Cf. ediz. francese, a cura di Ubald d’Alençon: Pierre d’Alcantara, Traitè de l’oraison et de la méditation, Paris 1923, 133s. Tuttavia san Pietro d’Alcantara parla di contemplare la Passione come se si svolgesse nel nostro cuore e non di contemplare le nostre sofferenze come se fossero quelle di Cristo. ↑
- Cf. Mt 4, 3. ↑
- Cf. Gal 2, 20. ↑
- Cf, Fil 2,5. ↑
- Cf. Sal 63, 7-8 (Vulg.): Accedet homo ad cor altum, et exaltabitur Deus. ↑
- Cf. 2 Cor 1,9: Ipsi in nobismetipsis responsum mortis habuimus. ↑
- Vedi più avanti, nn. 9218-9221. ↑
- Is 28, 19. ↑
- Cf. Tb 11, 4.8.13-15. ↑
- Cf. Ap 3, 18. ↑
- Lo stesso pensiero si trova in Harphius, Collatio 2a, ed. 1538, f. 180 D: «In quam felicissimam introversionem, immersionem et absorptionem, velut minimus pisciculus in immensam pelagi huius vastitatem, unusquisque cum spiritu suo natare studeat… in illam divinam caliginem». ↑
- Si noti la dottrina assai audace, pur temperata dagli interventi dell’edizione ufficiale del 1610. Ma, come annota Mommaers, l’intento del testo originale di Canfield pone l’accento sul fatto che qui l’anima deve vedere con uno sguardo che non è il suo, poiché a questo livello contemplativo c’è solo lo sguardo di Dio che si posa sull’anima divenuta specchio senza macchia, la quale viene attirata da questo raggio divino nell’unità del medesimo sguardo. La fonte potrebbe ravvisarsi nell’Eden (cap. 30) di Harphius: il mistico perde la coscienza del suo occhio, poiché si trova annegato nella luce divina. Nel supremo grado della contemplazione di Dio resta il solo sguardo di Dio: «Sic ergo Deus Deo mediante comprehenditur et videtur» (cf. P. Mommaers, Benoît de Canfield cit., 4408). ↑
- Ecco rispettivamente i titoli originali di questi due capitoli: «Des empêchements de cette annihilation et de très subtiles et inconnues imperfections de contemplation». «Des imperfections cu empêchements de cette annihilation active». ↑
- Canfield si riferisce all’Itinerarium mentis in Deum di san Bonaventura dove si legge: «In hoc autem transitu, si sit perfectus, oportet quod relinquantur omnes intellectuales operationes, et apex affectus totus transferatur et transformetur in Deum» (Itin. mentis VII, 4: Opera omnia V, Quaracchi 1891, 312). ↑
- Cf. Es 7, 2. ↑
- Cf. Gv 12, 32. ↑
- Gal 2, 20. ↑
- Cf. Ct 1, 7 (Vulg. 1, 6). ↑
- Cf. 1Tm 2,7. ↑
- Nella liturgia della festa dell’Apostolo. ↑
- 1 Cor 2, 2. ↑